La scelta vegetariana, soprattutto quella vegana, ha forti ragioni etiche, ossia deriva dal desiderio di contenere lo sfruttamento dell’ecosistema di cui anche l’uomo è parte.
Prende le mosse dalla consapevole necessità di risparmiare acqua, terre ed energia per consumare cibi a minor impatto ambientale e più sostenibili.
Anche gli amanti del cibo biologico credono fermamente nell’impossibilità di sostenere dal punto di vista ecologico modalità di agricoltura e di allevamento moderne.
Al loro posto auspicano si affermi un’agricoltura fondata su concimi naturali, sull’abbandono di pesticidi e di antiparassitari sintetici, sulla tutela dell’ambiente circostante e sulle coltivazioni di un tempo – magari meno produttive, ma da secoli presenti nel territorio e in piena armonia con l’ecosistema –.
Il vegetariano per ragioni etiche e di sostenibilità, dando ascolto ai suoi principi di vita, tende quindi a cibarsi quando possibile di verdure e frutta biologica, anche se più costose e non così diffuse come i prodotti non biologici.
Lo stile di vita vegetariano ben si coniuga con ulteriori soluzioni responsabili di consumo, volte ad evitare lo sfruttamento dei produttori – altri esseri umani – spesso meno fortunati dei consumatori.
Si tratta di applicare un rapporto equo e solidale tra queste due parti in gioco, evitando lo sfruttamento ed assicurando ai produttori contratti di acquisto di lunga durata che consentano una programmazione delle entrate e quindi degli investimenti.
Il mercato equo e solidale è tale proprio perché fonda il prezzo non unicamente sulla legge della domanda e dell’offerta, ma su un giusto corrispettivo, che permetta condizioni di lavoro e di vita sostenibili.
Cibi provenienti da commercio equo e solidale consentono soprattutto che la ripartizione dei profitti tra le componenti della filiera valorizzi il lavoro dei produttori.
Sarebbe infatti paradossale per un vegetariano risparmiare sofferenze agli animali e tollerare lo sfruttamento – a volte selvaggio – di altri esseri umani.