Come tutto ciò che è frutto di una millenaria storia e che ha conosciuto un’amplissima diffusione, anche lo Yoga si è venuto modificando nel tempo e nello spazio assumendo forme talvolta differenti pur nella coesione dei principi di base.
Alcuni grandi maestri di Yoga hanno sviluppato particolari aspetti della disciplina, senza che essi prendessero il sopravvento sugli altri, in nome della moderazione che rappresenta uno dei valori più condivisi da tutte le differenti scuole Yoga.
Lo Yoga cosiddetto tradizionale, basato sul controllo della mente, ha avuto tra i suoi maestri Patanjali. Egli ha concepito la pratica dello Yoga come una graduale ascesi frutto del superamento di otto gradini o rami (Ashtanga Yoga).
Pur rappresentando una scala che va dal basso all’alto - cosicché nel primo stadio sono individuabili i momenti iniziali che implicano gli obiettivi più semplici da raggiungere - gli otto stadi non devono essere per necessità raggiunti nell’ordine che l’Ashtanga Yoga utilizza per descriverli.
L’individuo con la sua mente particolare è infatti l’unico a poter governare fino all’ultimo il processo di ascesa degli otto stadi e a lui solo spetta di decretarne la successione.
Gli otto stadi sono:
- Rispettare le cinque yamas, ossia le osservanze di comportamento etico a prescindere dall’esecuzione di un esercizio fisico ma come condotta morale.
- Mettere in pratica le cinque niyamas ovvero azioni concrete regolate dalle yamas. Niyamas e yamas, altresì dette costrizioni, altro non sono che i dieci comandamenti dello Yoga.
- Raggiungere le asana ovvero guidare il corpo a porsi in armonia con le sue parti ed insegnare ad esso l’equilibrio frutto di opposte forze. Con il terzo stadio si passa dal piano morale al piano fisico.
- Apprendere il pranayama ovvero esercitare il controllo sull’energia vitale - prana - prevalentemente attraverso il respiro.
- Conseguire il pratyahara che è la libertà dal mondo esteriore e da tutti i suoi condizionamenti. A questo stadio è dato percepire l’essenza della propria interiorità sfrondata da tutto ciò che la circonda e la turba.
- Raggiungere il darana ovvero la capacità della concentrazione individuale, assoluta condizione necessaria ma non sufficiente alla meditazione.
- Arrivare al dyana ovvero alla meditazione frutto dell’ottenuta darana. Il dyana è l’obiettivo principale di tutti gli stadi e per così dire li compendia tutti quanti.
- L’ultimo e definitivo gradino è la samadi. Dominata l’esteriorità ed armonizzato il corpo con la mente il frutto della meditazione è ciò che garantisce la beatitudine ultima e massima. L’individuo è ormai fuso con l’universo e con la sua energia, liberato da ogni turbamento.